mercoledì 21 gennaio 2009

Nasce la mailing list di segnali di fumo

Cari amici, la mailing list di Segnali di Fumo per Napoli è
uno strumento che dovrebbe agevolare le nostre discussioni ed inoltre
fornire una sorta di archivio online delle nostre email e file
condivisi sulla rete.

Il suo funzionamento è abbastanza semplice:
inviando un qualunque messaggio email all'indirizzo:

segnalidifumopernapoli@googlegroups.com

Questo sarà inviato automaticamente a tutte le persone iscritte al
gruppo, che al momento sono 28, e che sono:

Aldo Pappalepore
Aldo Policastro
Alex Zanotelli
Andrea Morniroli
Angelica Romano
Angelo Abignente
Carla Orilia
Elena Coccia
Enrica Morlicchio
Geraldo Toraldo
Giacobbe Ruocco
Giacomo Smarrazzo
Giampiero Arpaia
Gianni De Luca
Giovanna D'alonzo
Giovanni Laino
Gloria Sanseverino
Maria Antonietta Selvaggio
Mariapia Sanseverino
Mario Aversano
Nino Lisi
Paola Clarizia
Salvatore Carnevale
Salvatore Romano
Sergio D'Angelo
Sonia Perone
Susi Veneziano
Tiziana Iorio

Alcune precisazioni:

- La mailing list è pensata come uno strumento per le nostre
discussioni "interne" ovvero solo le persone in questa lista
possono
inviare e ricevere mail dall'indirizzo
segnalidifumopernapoli@googlegroups.com, messaggi provenienti da
indirizzi esterni a questa lista verranno rifiutati dal sistema.

- Se avete altri indirizzi di persone che vorreste inserire nella
lista, potete comunicarlo a me, Mario Aversano via mail a
mario.aversano@gmail.com , ed io provvederò ad inserire questi
indirizzi quanto prima.

- Purtroppo per motivi di "spam control" di google, nella
lista non
possono essere inseriti indirizzi email che iniziano con
"info@.."
pertanto non ho potuto inserire l'indirizzo di Vittorio Moccia che
appunto era di quel tipo, se qualcuno può contattarlo gli dica di
fornirmi possibilmente un indirizzo diverso per la mailing list.

Resto a vostra disposizione per ogni eventuale chiarimento o
suggerimento tecnico.

A presto
Mario Aversano.

martedì 20 gennaio 2009

Proposta operativa

Molte sono le problematiche sollevate nella riunione tenutasi alla galleria Toledo, ognuna degna della massima attenzione, ma oserei dire troppe e molte di esse accompagnate dal rischio di volare troppo alto. E poiché l’iniziativa di “Segnalidifumo” dovrebbe riguardare principalmente la questione napoletana, è opportuno inquadrare prima di tutto il campo di azione, il terreno su cui muoversi, cioè: N A P O L I
Come cittadini dovremmo occuparci e preoccuparci di svolgere correttamente i nostrii doveri civici e di esercitare i nostri diritti nei limiti in cui tale esercizio non vada a ledere un diritto altrui. Oggi, di fronte all’evidente crisi che la democrazia rappresentativa sta attraversando nel nostro paese ed alla evidente cattiva gestione del territorio da parte degli amministratori locali, in particolare in Campania e a Napoli, ci rendiamo conto che dobbiamo cominciare ad occuparci e preoccuparci anche di come i nostri rappresentanti esercitano il potere da noi a loro delegato e magari di sostituirci a loro, in alcuni casi.
Le opzioni che abbiamo non sono molte: 1) Sperare che una potente epidemia di onestà, efficienza e capacità contagi politici, amministratori, esponenti di partiti, magistrati, imprenditori, professionisti, sindacalisti ecc.; (neanche Padre Alex, secondo me riesce, a pregare per un miracolo del genere, tanto sarebbe “miracoloso”). 2) Sperare e lavorare allo scopo di individuare nel breve periodo elementi sui quali puntare, perché ci rappresentino in modo degno e funzionale, una volta eletti; (lo scenario di desolazione intellettuale e morale che ci circonda ci fa capire che non è cosa facile ottenere una nuova classe dirigente e politica, immune dai difetti di quella attuale e i tempi sono sicuramente lunghi); 3) Puntare a costituire un sistema se non alternativo, almeno oppositivo all’attuale, attraverso gli istituti della democrazia partecipativa ( purtroppo, è sicuramente lontana nel tempo la reale possibilità di ottenere azioni efficaci attraverso gli istituti di tale tipo, sia per il sostanziale disconoscimento da parte delle Istituzioni degli sforzi che in tal senso sta compiendo il territorio, sia per le oggettive difficoltà di plasmare le istanze della società civile in un contesto organico che sappia interloquire in maniera valida, concreta e fruttuosa con le Istituzioni.
Sicuramente le opzioni 2 e 3 vanno coltivate e oserei dire considerate come un ulteriore nuovo dovere del cittadino; ma a questo proposito “Segnalidifumo” che contributo può e intende dare? Dai discorsi fatti nelle precedenti riunioni è parso di capire che nel nostro movimento non ci sono ambizioni elettorali e neanche volontà di partecipare ad organismi che si ispirano ai principi della carta di Aalborg e della Convenzione di Aarhus. E allora come intendiamo occuparci di N A P O L I ?
L’immagine che Napoli proietta a noi, che l’abitiamo e a chi vi arriva da fuori o segue da fuori quanto avviene in città, è “degrado allo stato puro”, in tutte le sue articolazioni possibili, morali e materiali; degrado, che sappiamo nascere da secoli di dominazioni e sudditanza e che non riusciamo a scrollarci di dosso; ma il perdurare e l’aggravarsi del degrado di Napoli oggi trova la sua causa più evidente nella cattiva amministrazione. Provo a ricordare i primi quattro anni di Bassolino Sindaco e capisco che ho ragione: chi di noi può negare che avevamo ritrovato l’orgoglio di essere “Napoletani” e come quell’orgoglio stava curando i mali della città…………. Troppo bello per durare!!
Partiamo allora, come ha detto Tiziana Iorio, dal degrado, quello della strada dove abitiamo, dove i nostri figli vanno a scuola, dove lavoriamo, dove andiamo a far la spesa; costringiamo l’Amministrazione a funzionare, pretendiamolo!!! Insegniamo ai nostri concittadini a pretendere che l’Amministrazione della città funzioni e ad essere, a loro volta, buoni cittadini, con senso civico e cura della cosa comune (parole sconosciute alla maggior parte dei Napoletani).
Ecco la Proposta che nasce da un'idea di Salvatore Lauria:
A) Per far funzionare l’Amministrazione della città:
Per ciascuna Municipalità di Napoli organizziamo una task force che raccolga le denunce di disservizi da sottoporre ad un pull di professionisti e magistrati che definiscano la strategia amministrativa e/o giudiziaria da seguire per inchiodare l’amministrazione competente alla soluzione del problema denunciato.
B) Per insegnare ai Napoletani cosa vuol dire essere: “cittadini”:
Adottiamo le strade e le piazze: partendo dal “centro storico” portiamo nei negozi, nelle scuole, nei portoni una “campagna di amore” per la strada e la piazza che viviamo ogni giorno, cominciando dal non sporcarla, passando per il pulirla se gli altri sporcano e imbrattano e/o gli spazzini non puliscono e finendo con il renderla più bella e funzionale, donando cestini, posacenere e piante ai “bassi”, ai palazzi ed ai negozi, curando i giardini e le piante che il Comune trascura, piantando fiori dove possibile.
Le risorse umane necessarie per l’ipotesi A) dovrebbero essere:
- Un gruppo di volontari con fotocamera digitale che rilevino direttamente i casi da denunciare o raccolgano le denunce dagli abitanti del quartiere ( ad esempio collocando un’apposita cassetta presso una o più edicole della zona )
- Un gruppo di volontari che selezionino le istanze meritevoli di attenzione (all’inizio quelle con maggiore impatto visivo)
- Un gruppo di volontari “tecnici” che stilino le istanze alla municipalità o ad altra istituzione competente e siano in grado di delineare e seguire l’iter amministrativo e/o giudiziario per la soluzione del fatto denunciato.
Le risorse umane necessarie per l’ipotesi B) dovrebbero essere:
- Un gruppo di volontari che definiscano iniziative di sensibilizzazione degli abitanti di una strada dove ci siano una scuola, dei negozi e abitazioni civili, con coinvolgimento in prima battuta di alunni e professori della scuola per procedere all’”adozione” della strada e successivo coinvolgimento, da parte della scuola, di negozianti ed abitanti: gli interventi potrebbero essere i più vari, ad esempio: pulizia della strada e sensibilizzazione degli utenti di essa al mantenimento “partecipato” di una situazione igienica ed estetica accettabile, con consegna di cestini e posacenere a portoni e negozi (magari anche piante); ripristino di eventuali buche su strada o marciapiede, eliminazione di pali della segnaletica non più utilizzati, di vasi vasetti e piante di privati commercianti che occupano il suolo pubblico messe lì allo solo scopo di non far parcheggiare le auto, verniciatura dei paletti dissuasori dei parcheggi sui marciapiedi (visto che ci devono per forza essere teniamoli almeno in ordine), eliminazione di auto abbandonate allo scopo sia di pulire la strada sotto l’auto che di liberare un posto auto, pulizia di muri, eliminando manifesti apposti illegalmente e/o scritte deturpanti.
- Un tecnico che sappia valutare i costi di eventuali iniziative, in modo da confezionare un progetto con relativo budget
- Un gruppo di aziende, professionisti e cittadini che sostengano il progetto dal punto di vista finanziario, alle quali prospettare la possibilità di una detrazione fiscale collegata al contributo

Per entrambe le iniziative un gruppo di volontari che si occupino di dare risalto attraverso i mezzi di comunicazione raggiungibili alle iniziative intraprese ed agli esiti delle stesse.
Sia A) che B) dovrebbero partire da una prima “Municipalità”, magari già un po’ attiva, con il coinvolgimento delle associazioni già operanti nella zona, per poi allargarsi a macchia d’olio alle altre nove. Sarebbe bello partire da una zona dove attraverso questa iniziativa si possa anche dare un contributo a fasce di popolazione più “esposta” al degrado, per povertà , emarginazione ecc.ecc., ma sarebbe un passo falso, perché prevarrebbe il connotato umanitario dell’operazione. Inizialmente, invece, si dovrebbe puntare a destare l’attenzione di quella parte di cittadini che si sono abituati a vivere nel degrado, indipendentemente dalla loro situazione sociale ed economica: impiegati, professionisti, imprenditori ecc, che essendo più fortunati di altri hanno l’obbligo morale di mettere mezzi ed esperienze, al servizio degli ultimi.
Firmatari:
Carla Orilia
Salvatore Lauria

venerdì 9 gennaio 2009

Il rischio di esclusione sociale

È difficile contrastare il meccanismo di difesa di coloro i quali si ostinano a non guardare in faccia alla realtà del declino che la società sta attraversando. Se si sostiene, ad esempio, che
nel nostro paese l’area del rischio di esclusione sociale si sta ampliando, i più generalmente contestano tale affermazione. Alcuni per manifesta volontà di ignorare il problema, molti altri perché non vogliono vederlo, nascondendosi dietro l’impossibilità di dimostrare in
maniera incontrovertibile, dati alla mano, un’ipotesi del genere.

Di recente, e ben prima che la crisi economica mondiale si manifestasse in tutta la sua gravità, ho tentato un calcolo di questa area a partire dai dati sull’occupazione, pensando che un lavoro minuzioso e rigoroso avrebbe potuto sgombrare il campo da qualsiasi contestazione su questa che a me pare da tempo una realtà incontrovertibile. Non è stato affatto facile e soprattutto i dati disponibili non aiutano molto, perché carenti, poco aggiornati e spesso desumibili da fonti molto diverse tra loro che non permettono quindi di colmare le reciproche lacune.

Eppure alcuni di questi dati mi sembrano alquanto illuminanti:
  1. secondoi dati Istat delle indagini campionarie sulle forze di lavoro, nel 2007 la quota dei lavoratori con contratto a termine rappresenta in Italia il 14% di tutti gli occupati dipendenti. Tale quota è in continua ascesa e, per avere un’idea della sua crescita,
    basti dire che nel 1997 rappresentava il 7,8%. Come avviene di solito per le grandezze del mercato del lavoro, il dato medio italiano è il frutto di situazioni alquanto diversificate tra
    Nord e Sud del Paese. Nel Mezzogiorno, infatti, il peso del lavoro a termine è ben più consistente, 17,7% nel 2007 (era del 12% nel 1997);

  2. secondo i dati Inps, le attività di collaborazione a titolo esclusivo in Italia sono aumentate tra il 2001 e il 2006 del 31,9%, nel Mezzogiorno del 109,6%;

  3. i lavoratori interinali, dati Inail-Inps, tra il 2002 e il 2007 sono aumentati del 108,1%;

  4. i disoccupati, secondo l’istat, diminuiscono (sappiamo però che il metodo di calcolo tiene fuori quelli cosiddetti scoraggiati), ma non c’è da rallegrarsi più di tanto visto che il tasso di attività rimane invariato in Italia, ma diminuisce nel Mezzogiorno dove consistente rimane anche la quota di lavoro irregolare.

Questo per dire che oggi come oggi quando si parla di ultimi si parla di persone le cui condizioni economiche e sociali sono sempre più precarie, condizioni che riguarderanno a breve fasce di popolazioneche pensavamo immuni da questo pericolo, allora sarà davvero molto difficile non vederle. E in ogni caso il lavoro di analisi e di ricerca deve andare avanti con tenacia e rigore per impedire che la realtà venga descritta così come fa più comodo, rintuzzando, ogni qualvolta se ne presenta l’occasione, tutte quelle affermazioni che spesso, anche solo perché incomplete, sono fuorvianti (rimando al commento sull’allarme povertà da me inserito qualche tempo fa in Oggi in cantiere).

Il mio segnale di fumo è perciò rivolto innanzitutto all’affermazione della conoscenza e alla diffusione della consapevolezza che credo siano tra le più importanti condizioni capaci di conferire alle persone dignità e libertà di pensiero.

Paola Clarizia

domenica 21 dicembre 2008

Segnale di fumo dai GAS per un commercio Equo e solidale

Una premessa metodologica
Come impostare il mio “segnale di fumo”? provare a contribuire a definire le condizioni formali affinché i vari segnali di fumo possano incontrarsi (ognuno definisce i propri punti irrinunciabile, si individuano le chiavi di lettura della realtà, si definisce una base programmatica condivisa …) o offrire alla discussione uno o più ambiti (in funzione delle forze che siamo capaci di mettere in campo) in cui più segnali di fumo possano incontrarsi per operare concretamente ?
Sono sicuramente un praticone inguaribile e quindi istintivamente propendo per la seconda ipotesi. Tuttavia ritengo che ci siano anche altri motivi per preferire la seconda impostazione. La crisi delle ideologie, il disastro sociale, politico ed economico nel quale viviamo credo renderebbero molto difficile un approccio di tipo tradizionale. Individuare uno o più ambiti ai quali si riconosce la possibilità da un lato di creare incontro tra più “segnali di fumo” e dall’altra di rispondere a bisogni reali della città credo potrebbe offrire l’opportunità di ritrovare, attraverso l’azione, comunanza e condivisione capaci di produrre strutture teoriche anche significative. Certo, questo percorso è sicuramente accidentato ed impervio, ma a me sembra di non vedere alternative ad esso, visti i risultati di precedenti esperienze fatte in tal senso. Anche perché, temo, di tempo ne avremo tanto a disposizione, per percorrere questa (o qualsiasi altra) strada !
Quale deve essere, allora, una delle particolarità di questa nuova esperienza che oggi stiamo provando a far decollare e che possa contribuire a garantirle un ragionevole futuro? La mia risposta è: una metodologia capace di rendere il “dire” facilmente trasformabile in “fare”, tramutabile, a sua volta, in nuovo “dire”, in un continuo spiraleggiare tra i due poli. E ciò perché in questa maniera sarà possibile offrire ai cittadini, soffocati da una città violenta e sempre più degradata sia civilmente che economicamente, la possibilità di sperimentare nuovi stili di vita.
È evidente che per opporsi all’immobilismo ed alla corruzione che caratterizzano la vita della città occorre separarsi nettamente dai vari centri di potere con i quali occorrerà, si, instaurare un confronto ma a partire dalle buone pratiche che via via saremo stati in grado di individuare e costruire, in modo da controllare il rischio di contaminazione, ad esempio attraverso la cooptazione, che quel sistema usa regolarmente per corrompere quanto di nuovo si affaccia e si offre alla città.
Insomma dovremo operare per realizzare laboratori in cui sperimentare relazioni, attività economiche e di servizio capaci di cambiare significativamente la qualità della vita della città in modo da far nascere, mostrando concretamente che “un altro mondo è possibile”, nuove energie ed entusiasmi.

Quale il segnale di fumo alla cui emissione contribuisco ?
Da anni opero come socio volontario in una cooperativa che si occupa di commercio equo e solidale (COMES) e al cui interno è attivo da tempo un gruppo di acquisto solidale (GAS).
Sicuramente uno degli elementi caratterizzanti il nostro sistema è la crisi della sua eticità. Qualche esempio forse vale meglio di tanti ragionamenti:
  • il Governo italiano ha lanciato una campagna di turismo responsabile volta a contrastare ogni forma di turismo finalizzata allo sfruttamento sessuale dei minori nel Sud del Mondo. L’iniziativa è certamente nobile tuttavia maschera il contesto in cui il turismo sessuale si sviluppa: continuare a considerare l’ambiente (nella sua forma più estesa: naturale ed umana) una merce da sfruttare in modo da trarre il maggior vantaggio individuale.
  • il gruppo bancario Intesa-San Paolo ha costituito qualche anno fa una nuova banca (Banca Prossima), il cui “obiettivo statutario è creare valore sociale”. Ma Intesa-San Paolo è leader nel mercato internazionale delle armi. Come è possibile coniugare due paradigmi tanto lontani ?
In entrambi gli esempi si cerca di vestire di eticità comportamenti ed azioni che hanno nulla della responsabilità sociale.
Il commercio equo ha fatto da sempre del consumo critico uno strumento per sottrarsi alle lusinghe della società dei consumi proponendo la ricerca e la pratica di valori etici da applicare quotidianamente attraverso un processo di consapevolezza e responsabilizzazione. Una frase di Alexander Langer credo sintetizzi bene questo discorso: «Ogni volta che compri un prodotto chiediti in quali condizioni è stato lavorato e fai del tuo consumo un momento di libertà per te e per chi in quell'oggetto ha messo sé stesso e la sua fatica».

Il GAS è nato, in cooperativa, per estendere queste considerazioni dal mondo dei prodotti “coloniali” a quelli prodotti sotto casa nostra, per esempio gli alimentari.

L’idea di base di questi due processi (COMES e GAS) è quella di proporre ad ognuno di noi di trasformarci da consumatore passivo (come vuole la società) in cittadino consapevole, capace, proprio per questo, di opporsi ai valori della società dei consumi e di volerne, quindi, riformulare altri adeguati ad una nuova organizzazione sociale .
Abbandonando la strada degli acquisti e consumi individuali è possibile contribuire a mettere in moto meccanismi che configurano valori e comportamenti compatibili con l’ambiente e rispettosi dei rapporti umani.

Quale la relazione con gli altri “segnali di fumo” ?
La Campania è stata devastata dall’emergenza rifiuti, dalla presenza della camorra e da pratiche politiche ed economiche rapaci e clientelari. Quali le conseguenze ? tra l’altro:
  • terreni inquinati
  • colture e prodotti alimentari dannosi per la salute
  • economia basata sempre più su criteri di rapina e clientela
  • tessuto sociale dilaniato
Nel Sud del mondo un modello di sviluppo centrato sul profitto costringe alla fame milioni di persone. Nel Nord lo stesso modello sta distruggendo l’ambiente avendolo trasformato in merce. Ed allora Sovranità alimentare, (inclusiva sia del diritto al cibo che della sicurezza alimentare) che qui in Campania (come in molte parti del mondo) è un diritto negato, può diventare un tema capace di far incontrare problemi e culture diversi.
Più esplicitamente:
  • lotta agli ogm ed al brevetto dei semi perché impediscono al Nord come al Sud di considerare il cibo come un bene e non come una merce;
  • opposizione all’istallazione di inceneritori, che provocando inquinamento, impediscono il diritto alla salute, lo sviluppo dell’ambiente mentre favoriscono la distruzione dell’economia locale
  • mappa dei terreni inquinati, loro bonifica e trasformazione economica per il periodo della bonifica perché solo sapendo dove vengono prodotti i nostri alimenti, possiamo costruire alleanze positive tra produttori e consumatori, capaci di opporsi alle filiere industriali della grande distribuzione
  • diffusione nelle zone, non bisognose di bonifiche, di produzioni realmente biologiche
  • creazione di reti di distribuzione di alimenti biologici a chilometro zero con qualità controllata e prezzi definiti in maniera condivisa e non secondo le “oggettive” leggi di mercato
  • campagna capillare di alimentazione e stili di vita corretti
  • costruzione di cooperative capaci di gestire in maniera trasparente e partecipata bonifiche, nuove produzioni agricole, nuove reti di distribuzione
  • attraverso la individuazione dell’esistenza dell’equazione Acquisto / Consumo = Produzione / Rifiuto costruzione di rapporti rispettosi dell’ambiente
  • sviluppare reti di finanza etica (sia “istituzionale” –Banca Etica- che legata al territorio –MAG, JAK, …) capaci di dare gambe ed energie alle iniziative che si sviluppano nel territorio ed al quale cercano di restituire dignità e coesione
  • ….
In altre parole: provare a mettere in piedi la sperimentazione di una rete di economia solidale basata sul rispetto dell’ambiente, del lavoro e delle persone e sulla lotta per la loro difesa.
Questa molteplicità di aspetti può mettere in rete molte esperienze già presenti sul territorio dando loro una prospettiva completamente nuova e contemporaneamente definendo relazioni con le istituzioni non formali, nell’ambito dell’economia solidale.

Massimo Lampa

martedì 16 dicembre 2008

la povertà

Come studiosa della povertà mi viene chiesto spesso di “dare i numeri”, di riuscire a calcolare con esattezza quanti sono i poveri a Napoli, piuttosto che di aiutare a capire chi siano, dove vivano, come sopravvivano e a costo di quali difficoltà e sofferenze, spesso anche psicologiche. Per lo più non mi sottraggo a questa richiesta, ma credo che sia importante, per programmare qualsiasi intervento, capire anche di che cosa stiamo parlando, di tradurre i numeri in soggetti in carne e ossa. Ciò serve anche – e lo dico senza alcuna ironia – a non spaventarsi troppo: è certamente facile attuare una politica di reddito minimo a Bolzano, dove per contare le domande a volta bastano le dita delle mani, piuttosto che a Napoli dove le richieste (a netto delle sovrastimate “frodi”) superano sempre le decina di migliaia. Ma partiamo dai numeri, guardando a diversi indicatori (consumi, reddito e difficoltà nel soddisfare standard minimi). Sulla base dei dati diffusi annualmente dall’Istat negli ultimi cinque anni l’incidenza della povertà relativa a Napoli non è scesa mai al di sotto del 20%, con punte stimabili intorno al 30-35% in alcuni quartieri. Una famiglia campana su tre è molto povera (in quanto ricade nel quinto più basso della distribuzione dei redditi) e una su due è povera o molto povera (cioè si trova nella parte più bassa della distribuzione dei redditi). Infine, se si considerano alcuni indicatori ormai ampiamente usati a livello europeo, si osserva come, rispetto alle principali città italiane, Napoli presenta la più alta incidenza di disagio alimentare, difficoltà di sostenere spese per la casa (incluso il pagamento delle bollette) e di coprire il costo delle spese mediche.
A parte le stime ufficiali si può dire che non ci vuole la zingara per indovinare la ventura. All’ aggravamento delle forme più tradizionali di povertà familiare si aggiunge un aumento preoccupante del numero di persone che vivono per strada andando incontro, come è accaduto soltanto una settimana fa, alla morte per denutrizione e assideramento. Quest’ ultima area –l’area della marginalità e della povertà estrema – si è arricchita di recente di nuovi soggetti, come donne immigrate arrivate a Napoli come “badanti” che, in seguito alla morte della persona anziana, si trovano di colpo senza lavoro e senza possibilità di soggiorno regolare, donne anziane sole che, ciabatte ai piedi, si vedono di frequente frugare nell’immondizia in cerca di qualche oggetto o, chissà, di qualche avanzo di cibo, e giovani provenienti dai paesi dell’ex blocco sovietico occupati in lavori ultra-precari (come il lavaggio dei vetri o dei fanali delle auto) con problemi di alcolismo.
Le esperienze di intervento per contrastare la povertà a Napoli sono state del tutto insufficienti rispetto alle dimensioni del fenomeno e alla sua composizione. Sia per difficoltà oggettive sia per la scarsa volontà gli interventi hanno avuto una portata limitata nel tempo e nella entità dei benefici.
Rispetto a ciò a poco serve la solidarietà familiare. Essa è stata fino ad oggi senza dubbio un importante freno alle derive individuali, ma con il venire meno delle condizioni che hanno reso possibile in passato l’esercizio della solidarietà (come la presenza di almeno un reddito stabile in famiglia o l’ apporto di spezzoni di redditi da lavoro irregolare) si assiste oggi ad un sovraccarico di richieste che la famiglia non è più in grado di sostenere. E purtroppo, sempre più di frequente, registro nella mia esperienza di ricerca il ruolo del “welfare della camorra”: le famiglie povere che, trovandosi con le spalle al muro, accettano questa forma di aiuto imboccano un percorso senza possibilità di ritorno.
E’ tutta qui la questione morale a Napoli. Nella sproporzione tra obiettivi che un governo di sinistra dovrebbe porsi e realtà concreta. E tale sproporzione è tanto più grave quando si tratta di garantire risorse minime per la sopravvivenza. Certo non è una soluzione il reddito di cittadinanza (in realtà, altro che cittadinanza!) attribuito solo a poco più del 10% degli aventi diritto (e che non si vorrebbe neppure rifinanziare). Ma, nelle scelte di bilancio, questi temi non sono prioritari. E il dibattito politico si immiserisce nelle previsioni della capacità di resistere nell’occupazione dei posti di potere. Quando, in occasione delle ultime elezioni, qualcuno ha tentato di cambiare registro, è stato circondato di gelo, a volte di sprezzante ironia. Poi i fatti hanno drammaticamente smentito certezze autoreferenziali. Perciò, partendo dai nostri svariati luoghi di lavoro, dalla esperienze di volontariato laico e cattolico, senza preclusioni ideologiche (cercando soltanto di distinguere le persone realmente motivate da quelle in cerca di celebrità) abbiamo cercato di proporre un percorso nuovo. Abbiamo pensato che stavamo diventando una sorta di riserva indiana cittadina e abbiamo cominciato a lanciare segnali di fumo. Qualcuno asserragliato in altre riserve ci ha risposto. Contiamo di non subire la sorte dei nativi americani. Per questo, ci incontreremo nell’assemblea pubblica che si terrà oggi, nella Galleria Toledo, alle quattro e trenta del pomeriggio.
Enrica Morlicchio (Università di Napoli Federico II)

Segnali di fumo sul lavoro

Possiamo essere critici sulla strategia europea per l’occupazione, apocalittici sulle misure di flessibilità e convinti nel denunciare l’indebolimento delle tutele che proteggono il lavoro; ma risulterebbe difficile sostenere che le pessime performance del mercato del lavoro nel Mezzogiorno e a Napoli siano legate essenzialmente ai limiti degli indirizzi strategici. Incidono negli insuccessi soprattutto il fatto che le politiche in Italia non tengano conto dei deficit strutturali dei contesti in ritardo di sviluppo e non impostino gli interventi con obiettivi prioritari specifici; e il fatto che le politiche non curino più gli aspetti legati alla gestione e al controllo, abbiano anzi mollato del tutto le redini, come se la liberalizzazione riguardasse anche questo punto. Questi elementi di debolezza accentuano i malfunzionamenti delle politiche e aumentano l’esposizione degli interventi ai meccanismi politici di consenso e di controllo. Due fatti che ci riguardano perché a Napoli l’esposizione del lavoro alla politica è stata sempre alta. La città sul lavoro si mostra debole, in difficoltà nel reagire alle crisi, passiva e non propositiva rispetto ai meccanismi di galleggiamento dell’economia marginale, incapace di contrastare l’illegalità, timorosa quanto opportunista nel rispondere ai conflitti sociali, deprimente nell’esprimere una conflittualità che si mobilita su “interessi di parte” fragili e duri, come il bisogno di lavorare, e che è condannata, già prima di esplodere, alla solita scena dell’ordine pubblico e al rituale dell’infinito intrattenimento che misericordiosi ministri e assessori concedono. La città ha scelto di declinare il problema del lavoro come una permanente emergenza, fuori da ogni logica che vedrebbe una metropoli essere attrattore delle opportunità che il mercato, l’amministrazione e l’organizzazione sociale offrono. Napoli ha scelto invece di attrarre flussi finanziari pubblici perché ha “i disoccupati”, e di ricavare da questo il più semplice dei vantaggi in termini di consenso e controllo. Abbiamo dunque trascorso quasi trent’anni di espiazione sulle rigidità del mercato del lavoro e trent’anni di mercificazione del lavoro senza potere avere la soddisfazione di vedere crescere l’occupazione a Napoli e in Campania e senza ottenere risultati in termini di riduzione della disoccupazione se non quello di ricacciare indietro la popolazione più debole e relegarla tra chi non cerca più nulla. Abbiamo visto anche sparire negli ultimi dieci anni, inghiottita dal liberismo-leghismo ma soffocata soprattutto dal nostro modo ottuso di governare la disoccupazione, anche la prospettiva di un nuovo Sistema di Welfare, delle politiche dei lavori concreti, dei nuovi bacini di impiego, del microcredito, della pubblica utilità, strumenti indispensabili per una nuova idea di welfare solidale. Tutto sparito e ormai improponibile, giacchè quegli strumenti oggi sono trasfigurati in forbici e messi nelle mani cattive che dovrebbero tagliare i viveri a chi prende un sussidio senza mettersi doverosamente a disposizione dello stato sociale, in altri termini sono diventati strumenti di risparmio piuttosto che strumenti di intervento per la spesa pubblica, strumenti di selezione, invece che di coesione e di inclusione (salvo il fatto che anche queste forbici siano usate con la discrezionalità necessaria al sistema politico). Abbiamo sulle spalle una storia di debolezza civile e democratica di cui vogliamo liberarci, contro la quale vogliamo reagire e dare battaglia per dare alle cose una direzione diversa. Prendiamo atto che da nessuna istanza, anche la più democratica e radicale della città sia mai venuta un denuncia contro gli abusi che si compiano all’ombra dell’emergenza lavoro. Rivendichiamo una politica di sostegno all’occupazione impostata sullo sviluppo e l’equità, chiamando in causa le risorse del mercato e della solidarietà sociale che una metropoli come Napoli non può non avere. Impegniamoci in una alleanza a sostegno di una politica trasparente, efficace ed equa di contrasto alla disoccupazione, per ottenere un corretto impiego degli strumenti e delle risorse che alimentano il mercato del lavoro. E soprattutto testimoniamo ai giovani, ai disoccupati, ai cassintegrati e ai male-occupati che la colpa dei loro guai non è loro, stando dalla loro parte contro la solitudine.
Susi Veneziano

Il mio segnale di fumo

Da alcuni mesi mi sto impegnando in prima persona in una serie di iniziative a Napoli. Per citarne alcune: il cantiere arcipelago Napoli, il GAS e il commercio equo, il comitato civico della I municipalità, che mi hanno portato a marciare da Acerra a Napoli per lottare per una diversa politica dei rifiuti, piuttosto che a modificare giorno per giorno le mie scelte di consumo.
Per me tutte queste cose sono legate dal filo rosso della volontà di volerci essere e rendere visibile ed esplicito il mio voler contare nelle scelte che riguardano la nostra città e in senso più ampio il nostro paese.
Sono convinta che il modello di sviluppo in cui ci troviamo ad agire oggi sia in profonda crisi, e che è possibile incidere sul cambiamento in atto. I sistemi si auto-regolano, trovando nuovi equilibri e assetti tra interessi in conflitto.
Penso che i modi in cui oggi io posso incidere, da semplice cittadina quale sono, sono sostanzialmente di 3 tipi:
- da un lato le scelte quotidiane di consumo: il modello di sviluppo capitalistico mi/ci sottrae risorse ogni giorno. I ricchi diventano ogni giorno più ricchi, la povertà aumenta, c’è una tendenza terribile alla polarizzazione globale tra una grande massa in difficoltà e un’oligarchia che si arricchisce sempre di più. In questo circolo vizioso, le donne sono ultime tra gli ultimi. Quanto più spendo delle poche risorse che ho nel circuito che autoalimenta il grande capitale, tante più risorse mi verranno sottratte in futuro, in un circolo vizioso di perdita progressiva. Posso scegliere quindi di modificare le mie scelte di consumo verso circuiti “altri” per innescare un effetto moltiplicativo virtuoso che alimenta e autoalimenta un’economia alternativa. Combatto il capitale con i suoi stessi mezzi, mi sottraggo quanto più posso al ruolo di consumatore di merci prodotte in sistemi di produzione che aumentano la povertà globale.
- L’altra cosa che posso fare, è di riappropriarmi degli spazi pubblici e dei beni comuni, in tutti i sensi: i luoghi fisici, gli spazi di decisione e di potere, gli spazi della rappresentanza, l’informazione. È molto faticoso ed è un percorso lungo. Devo utilizzare tutti gli strumenti che ho a disposizione per esercitare i miei diritti di cittadina, e soprattutto devo vigilare, fare controinformazione e diffonderla.
- Ancora, ed è legato ai punti precedenti, posso e devo recuperare al massimo il piano delle relazioni personali, perché la strada che intravedo è lunga e faticosa, e richiede tante piccole gocce per scavare la roccia, bisogna fare massa critica. Se cambio io da sola le mie scelte di consumo, incido poco, e non riesco a rendere questa scelta conveniente dal punto di vista economico, per cui non riuscirei a sostenerla a lungo. E anche sulla ri-appropriazione degli spazi pubblici, da sola le mie azioni sarebbero deboli.

Il mio segnale di fumo è questo: densifichiamo le reti basse, facciamo massa critica, aiutiamoci e sosteniamoci reciprocamente nelle nostre iniziative, alimentiamo con le nostre risorse i nostri circuiti e i nostri centri di interesse, diamoci lavoro, vigiliamo sull’uso delle risorse pubbliche e dei beni comuni, facciamo e diffondiamo controinformazione.

Alcune iniziative che propongo:
- incontro pubblico sul consumo critico e l’economia solidale, con produttori locali, circuito locale del commercio equo, e cittadini per iniziare a porre le basi di un distretto di economia solidale (GAS Friarielli, coop. ‘E pappeci e Cantiere Arcipelago Napoli)
- Partecipazione e sostegno all’iniziativa della scuola di eddyburg ad aprile a Napoli (Cantiere Arcipelago Napoli ed Eddyburg)