Possiamo essere critici sulla strategia europea per l’occupazione, apocalittici sulle misure di flessibilità e convinti nel denunciare l’indebolimento delle tutele che proteggono il lavoro; ma risulterebbe difficile sostenere che le pessime performance del mercato del lavoro nel Mezzogiorno e a Napoli siano legate essenzialmente ai limiti degli indirizzi strategici. Incidono negli insuccessi soprattutto il fatto che le politiche in Italia non tengano conto dei deficit strutturali dei contesti in ritardo di sviluppo e non impostino gli interventi con obiettivi prioritari specifici; e il fatto che le politiche non curino più gli aspetti legati alla gestione e al controllo, abbiano anzi mollato del tutto le redini, come se la liberalizzazione riguardasse anche questo punto. Questi elementi di debolezza accentuano i malfunzionamenti delle politiche e aumentano l’esposizione degli interventi ai meccanismi politici di consenso e di controllo. Due fatti che ci riguardano perché a Napoli l’esposizione del lavoro alla politica è stata sempre alta. La città sul lavoro si mostra debole, in difficoltà nel reagire alle crisi, passiva e non propositiva rispetto ai meccanismi di galleggiamento dell’economia marginale, incapace di contrastare l’illegalità, timorosa quanto opportunista nel rispondere ai conflitti sociali, deprimente nell’esprimere una conflittualità che si mobilita su “interessi di parte” fragili e duri, come il bisogno di lavorare, e che è condannata, già prima di esplodere, alla solita scena dell’ordine pubblico e al rituale dell’infinito intrattenimento che misericordiosi ministri e assessori concedono. La città ha scelto di declinare il problema del lavoro come una permanente emergenza, fuori da ogni logica che vedrebbe una metropoli essere attrattore delle opportunità che il mercato, l’amministrazione e l’organizzazione sociale offrono. Napoli ha scelto invece di attrarre flussi finanziari pubblici perché ha “i disoccupati”, e di ricavare da questo il più semplice dei vantaggi in termini di consenso e controllo. Abbiamo dunque trascorso quasi trent’anni di espiazione sulle rigidità del mercato del lavoro e trent’anni di mercificazione del lavoro senza potere avere la soddisfazione di vedere crescere l’occupazione a Napoli e in Campania e senza ottenere risultati in termini di riduzione della disoccupazione se non quello di ricacciare indietro la popolazione più debole e relegarla tra chi non cerca più nulla. Abbiamo visto anche sparire negli ultimi dieci anni, inghiottita dal liberismo-leghismo ma soffocata soprattutto dal nostro modo ottuso di governare la disoccupazione, anche la prospettiva di un nuovo Sistema di Welfare, delle politiche dei lavori concreti, dei nuovi bacini di impiego, del microcredito, della pubblica utilità, strumenti indispensabili per una nuova idea di welfare solidale. Tutto sparito e ormai improponibile, giacchè quegli strumenti oggi sono trasfigurati in forbici e messi nelle mani cattive che dovrebbero tagliare i viveri a chi prende un sussidio senza mettersi doverosamente a disposizione dello stato sociale, in altri termini sono diventati strumenti di risparmio piuttosto che strumenti di intervento per la spesa pubblica, strumenti di selezione, invece che di coesione e di inclusione (salvo il fatto che anche queste forbici siano usate con la discrezionalità necessaria al sistema politico). Abbiamo sulle spalle una storia di debolezza civile e democratica di cui vogliamo liberarci, contro la quale vogliamo reagire e dare battaglia per dare alle cose una direzione diversa. Prendiamo atto che da nessuna istanza, anche la più democratica e radicale della città sia mai venuta un denuncia contro gli abusi che si compiano all’ombra dell’emergenza lavoro. Rivendichiamo una politica di sostegno all’occupazione impostata sullo sviluppo e l’equità, chiamando in causa le risorse del mercato e della solidarietà sociale che una metropoli come Napoli non può non avere. Impegniamoci in una alleanza a sostegno di una politica trasparente, efficace ed equa di contrasto alla disoccupazione, per ottenere un corretto impiego degli strumenti e delle risorse che alimentano il mercato del lavoro. E soprattutto testimoniamo ai giovani, ai disoccupati, ai cassintegrati e ai male-occupati che la colpa dei loro guai non è loro, stando dalla loro parte contro la solitudine.
Susi Veneziano
martedì 16 dicembre 2008
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